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Il gioco d’azzardo (2 parte)


Chi sono i soggetti maggiormente a rischio? Esistono categorie di persone più vulnerabili alla dipendenza da gioco?
Le ricerche effettuate  confermano che non esiste un identikit del giocatore d’azzardo per il semplice fatto che il fattore a rischio più grosso è la facilità con cui si può entrare in contatto con il gioco, senza alcuna barriera d’accesso.
Unica distinzione è quella tra giocatori sociali e giocatori patologici: i primi guardano al gioco d’azzardo come una attività di divertimento, in cui investire deliberatamente parte del proprio denaro e per alcuni questo divertimento si trasforma in dipendenza.
I giocatori compulsivi sono quegli individui che si trovano cronicamente e progressivamente incapaci di resistere all’impulso di giocare, non presentano caratteristiche particolari legate all’età, o alla classe sociale, ma io credo che la maggior parte di coloro che cadono nella dipendenza da gioco o in qualsiasi altra forma di dipendenza, siano persone attraversate dal male di vivere. Così mi confidò una persona affetta dalla dipendenza da gioco “….mi porta ad essere diverso da quello che vorrei essere …come se fossi alla fine un essere diviso in due …non capisco più nulla, mi parte la vena e divento compulsivo …mi riempio di adrenalina e devo scaricarla ….entro in un’altra dimensione ….non esiste più la realtà ma ne esiste una parallela che non ha le stesse leggi.  Vincere diventa una maniera per dimostrare a noi stessi che abbiamo ancora il controllo sulla nostra vita, il potere di dirigere le sorti della nostra vita.Il gioco risveglia il nostro desiderio di onnipotenza, che di solito deve fare i conti con una quantità di fattori incontrollabili. E come se giocando ci liberassimo dagli ingranaggi di una vita che non ci appassiona  più, è come trasferirci in un altro mondo dove la vita appare più felice. Il gioco si presenta come una pausa, una interruzione, un alleggerimento del peso dell’esistenza.”Queste sono alcune affermazioni da me raccolte ascoltando alcune persone affette dalla malattia del gioco e che mi portano ad ipotizzare che alla base ci sia una insoddisfazione esistenziale che il gioco riesce a “coprire” per poi diventare un’arma potente con cui confermare che tutto non ha senso ed è quindi meglio lasciarsi andare a volte fino alla morte.
A presto.
Dott.ssa Anna Pace

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